Non avete sbagliato, non avete premuto inavvertitamente il tasto play su una traccia random di un album degli americani The Black Keys, bensì su quella di apertura (“Do I Wanna Know”) del nuovo album degli inglesi Arctic Monkeys (uscito anch’esso in questo prolifico settembre 2013 - un vero attentato al portafoglio del povero appassionato di musica indie-rock, dopo un agosto avaro di emozioni) e intitolato semplicemente “AM” (Velvet Underground, “VU”, docent). Un riff ipnotico di chitarra si ripete circolarmente e sorregge tutta la struttura della canzone, senza tanti fronzoli. La seconda canzone “R U Mine?” parte ancora più elettrica e nervosa della prima, neanche il tempo di rialzare un attimo la testa, che subito t’investe come una furia (e questa volta il batterista ha la licenza di rullare e picchiare sulle pelli a piacimento). Per far calare la tensione, occorre arrivare al brano numero 6 “No. 1 Party Anthem” nel quale Alex Turner (chitarrista, cantante e autore della maggior parte dei testi) si traveste da crooner e ci fa ballare un bel lento “da rimorchio di metà festa”. Che Alex sia molto eclettico e che non ami fossilizzarsi su un genere o dormire sugli allori, ce l’aveva già dimostrato con la bella esperienza sotto il marchio The Last Shadow Puppets, condiviso con l’amico e collega Miles Kane, che nel 2008 ha partorito quel bel gioiello di album pop retrò dal gusto sixties intitolato “The Age of the Understatement”.
Che dire? Ci sono delle band che già al secondo-terzo album sembrano già spompate e senza idee, gli Arctic Monkeys sono ancora in splendida forma, macinano album di qualità a un ritmo sostenuto (già 5 album dal 2005 al 2013), senza cedimenti né compromessi, essendo più interessati alla musica che allo showbiz. Alex Turner ha solo 27 anni, gli altri membri della band (Jamie Cook, Nick O'Malley, Matt Helders) si aggirano sulla stessa età, dunque il presente e il futuro non possono che essere dalla loro parte.