Caro Lou Reed, accade sempre così: ora che non ci sei più, ti dedicheranno qualche servizio al telegiornale (in Italia sarà collocato in coda e durerà solo pochi minuti, non preoccuparti, da noi per il Rock ci si agita il giusto se non sei un personaggio glamorous), copertine, articoli e blog come quello che sto scrivendo io in questo momento. Ovviamente, il tempo di organizzarsi un minimo, usciranno tra breve anche raccolte discografiche intitolate “The Best of”, cofanetti, opere rimasterizzate, biografie scritte dai cugini di secondo grado di qualche conoscente dei tuoi amici che ti conoscevano benissimo. Ma tutto questo non ti riguarda. Anzi, non mi stupirei che tra le tue ultime volontà avessi scritto espressamente: “This is no time for celebration”. Ti sbagli, Lou, spero che almeno New York, cui hai dedicato un bellissimo album nel 1989 da ascoltare parola per parola dall’inizio alla fine, si fermi un attimo a riflettere sulle proprie radici, sulla propria cultura e riconosca i tuoi immensi meriti artistici, tra cui quello di avere mostrato al mondo che esiste anche un “Wild Side” che non dobbiamo fare finta di ignorare.
No, oggi non è proprio un “Perfect Day”.