Quando la gioventù di Tahrir Square depose Hosni Mubarak nel febbraio del 2011, il mondo intero festeggiò con loro. Era una grande vittoria per la libertà, la democrazia e l a speranza. Era anche una grande vittoria per Facebook, Twitter e Google, dato che i social media venivano sponsorizzati come la "stampa libera" della rivoluzione. Possono essere, sostiene ora il mondo, non solo i media del capitalismo e della conversazione inattiva, ma anche uno strumento di rivolta sociale. E gli eventi degli ultimi tre anni non possono togliere niente a tutto questo.
Cos'è successo quindi dato che, quasi tre anni dopo, l'Egitto si trova in una repressione politica forse peggiore di quella di Mubarak - con molti egiziani che sembrano sostenerla - e la Siria si trova in una brutale guerra civile senza un'opposizione organizzata? Perché gli altri paesi possono fare una rivoluzione e muoversi gradualmente verso la democrazia, ma non i paesi arabi? Cosa c'è nel mondo arabo che sembra rendere così difficile la democrazia e l'opposizione organizzata all'autoritarismo?
Ho insegnato inglese a livello universitario in Siria per cinque anni. Mi sono anche "sposato" in Egitto e mi sono trovato ad essere in entrambi i paesi quando sono incominciate le rivoluzioni. Posso dirvi che problemi e le soluzioni per entrambi i paesi sono politici solo a livello superficiale. Parte del problema è culturale. La civilizzazione araba rimane largamente tribale anche dopo che il mondo ha da molto sviluppato sistemi sociali e legali più sofisticati. Anche dopo l'avvento dell'Islam, con le sue leggi ed il supporto alla leadership politica e a strutture comunitarie non tribali, gran parte del mondo arabo rimane ancora nomadico, tribale e fortemente individualista. Tutto questo ha contribuito a una cultura politica di nepotismo familiare e di scarsa attitudine al compromesso.
Ma il punto di vista del problema culturale può raccontare solo parte della storia. Le radici più profonde del problema sono più contemporanee. Entrambi i paesi hanno sistemi educativi che soffocano consapevolmente le abilità critiche necessarie perché la democrazia prenda piede. Il pensiero critico, una pietra miliare dell'educazione sostenibile - è anche una pietra miliare della libertà. In particolare, i cittadini in una democrazia dovrebbero potere:
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giudicare a livello critico ciò che dicono i leader e i media ed essere in grado di riconoscere le loro faziosità quando necessario;
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accertare i costi e i benefici delle varie opzioni sociali e politiche, da possibilità sfumate alla consapevolezza, ed essere disponibili al compromesso;
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essere consapevoli di come idee, azioni ed organizzazioni vengono prodotte ed essere in grado di visualizzare i passaggi che devono essere compiuti per arrivare a un certo risultato.
Queste ed altre abilità critiche - che noi nelle democrazie industrializzate occidentali diamo per scontate - vengono minate sistematicamente nei curricula della maggior parte dei sistemi educativi delle nazioni arabe, che mettono in risalto la memorizzazione a spese della comprensione e dell'analisi. Il risultato è una popolazione paralizzata virtualmente di fronte alle autorità. Sentivo con regolarità i miei studenti siriani ripetere a pappagallo i proclami delle pubblicità o dei notiziari. Non è mai venuto loro in mente di mettere in discussione qualcosa che vedevano nella stampa, a meno che non contraddicesse espressamente una convinzione prestabilita che era stata loro insegnata - religiosa o politica - ed in questo caso era semplicemente sbagliata; non c'era possibilità di opinione, compromesso o convincimento.
Il problema è esacerbato dalla quasi totale assenza di storia e lettura nei curricula arabi. Lo dico non perché io sia un fautore degli studi umanistici, nonostante io lo sia, ma perché una conoscenza della storia insegna ai bambini che loro, singolarmente o collettivamente, fanno la storia invece che consumarla. Le forze controrivoluzionarie egiziane hanno lavorato giorno e notte per tre anni per far disimparare agli egiziani le lessioni di Tahrir Square. E ci stanno riuscendo, perché la maggior parte degli egiziani non ha le abilità critiche per vedere queste forze per quello che sono realmente. Quanto alla lettura, non è che gli studenti arabi siano analfabeti; sono in grado di leggere. Ma non sono mai incoraggiati a leggere oltre alle apparenze e alle forme. Avevo molti studenti che non avevano mai letto un libro o un articolo nelle loro vite che non fosse richiesto dalla scuola. Le alte cariche del Ministero dell'Educazione sanno che leggere accende l'immaginazione e che l'immaginazione non va bene per lo status quo.
Le difficoltà che sta affrontando l'Egitto aspettano la Siria quando Assad prima o poi se ne andrà. Non saranno in grado di formare partiti o di impegnarsi in dialoghi che culminino in un'elezione equa, accettata da tutti. Bisticceranno fra di loro, senza essere in grado di ascoltare, unirsi o trovare davvero un compromesso. Gli unici concorrenti saranno le forze che hanno avuto in anticipo la maggiore organizzazione - i lupi travestiti da pecore rimasti dal regime di Assad e al-Qaeda; e la grande maggioranza dei siriani non avrà una scelta reale.
Cosa possiamo fare? In assenza di fondi concreti per rivedere i curricula e istruire nuovamente gli insegnanti (per non parlare di una decina o una ventina d'anni per vedere i risultati) a cui il regime esistente non permetterebbe comunque di entrare in una vera classe e di mettersi in contatto con gli studenti, l'unica alternativa è di tornare alla "Square One". Tahrir Square, o meglio - una Tahrir Square digitale. Dobbiamo tutti partecipare ai social media e ai social media blog ed impegnare la futura generazione di egiziani e siriani nel dialogo - qualunque tipo di dialogo. Non deve trattarsi per forza di un dibattito politico, a cui sarebbero comunque reticenti trovandosi nel loro paese natio ed avendo un minimo di buon senso. Ogni tipo di discussione e di condivisione sui social media che riguarda le proprie opinioni e lo scambio aperto di idee darà loro un'esperienza che potranno forse un giorno utilizzare per ricostruire il proprio paese. E possa questo giorno venire il prima possibile. Ameen.
(Traduzione dall'inglese a cura di Nadea Translations)