Non un album per tutti “Loud City Song” (2013), scritto, cantato e arrangiato da Julia Holter, giovane artista di Los Angeles giunta alla terza prova discografica. Per apprezzarlo in pieno, occorrono degli ascolti attenti (dimenticate di poterlo ascoltare in cucina, in sottofondo, mentre state preparando una zuppa di pesce) con orecchie un po' allenate alla sperimentazione e propense a farsi sorprendere da arrangiamenti ricercati e inaspettati (trombone, sassofono e violino sono tra gli strumenti di maggiore spicco in certi brani): quando pensi che una canzone possa prendere una certa direzione, Julia scompiglia le carte in tavola e ti conduce esattamente dove vuole lei. Una volta accettato tutto questo, il godimento per la fruizione di un’opera musicale di grande pregio e classe è totale. L’album parte piano, piano con “World”, un brano molto introspettivo: un timido sussurro, un ingresso in punta di piedi, un’invocazione a tutti i paradisi del mondo per una riflessione su se stessi. “Maxim’s I” ci fa già capire di che pasta è fatta Julia Holter, presentandoci una composizione senza tempo, non riconducibile ad una cifra stilistica precisa, grazie a un suono orchestrale in primo piano, mai claustrofobico, che come accennavo sopra, è pieno di deviazioni dal percorso principale. La vera sorpresa, dal mio punto di vista, arriva alla traccia numero tre: “Horns Surrounding Me” ti proietta in un altro mondo e in un’altra dimensione, grazie alla perfetta commistione tra strumenti elettronici e acustici (già il titolo è tutto un programma).
Potrei continuare così, brano dopo brano, ma non vale la pena rovinare l’effetto sorpresa che questo disco è in grado di regalarci.