Matthieu Aikins è uno scrittore che vive a Kabul, Afghanistan e scrive articoli sul Centro e Sud Asiatico per riviste quali Harper's, Rolling Stone, the Atlantic e CQ.
"Non esiste un concetto obbiettivo che ti permetta di decidere che valore abbia la tua vita, se si considera il valore di una storia.. Soprattutto quando ti ritrovi in luoghi dove la gente viene uccisa per i motivi più stupidi e una vita vale così poco da farti capire che non devi necessariamente credere di essere un bene prezioso, che non va messo a rischio in nessun modo. Ed è solo una scelta personale, tra l'altro molto egoistica, perché chiaramente i tuoi cari saranno influenzati da questa tua scelta. In ogni caso, tutto si riduce ad abitare in uno "spazio mentale" diverso."
FA: Cosa ne pensi dello stato del giornalismo, oggi, in Afghanistan?
MA: Credo sia giusto dire che lo sviluppo di una stampa libera e indipendente, un media di vitale importanza in Afghanistan sia stato interrotto dalla Rivoluzione di Saur. Dal 2001, le aziende giornalistiche in Afghanistan hanno fatto notevoli progressi nella ricostruzione, un'opera che ha spesso comportato un rischio notevole. Ad ogni modo, credo che lo stato del giornalismo in Afghanistan rispecchi le conseguenze involontarie dei costosi e affrettati progetti di sviluppo internazionali che hanno interessato la zona. Il problema è che oggi ci sono molti pochi giornalisti Afghani di spessore e lo stesso vale per le agenzie che producono contenuti in Dari o Pashto per il pubblico afghano. I migliori talenti sono stati - per la maggior parte - convogliati o verso le NGO e il settore commerciale o verso i media occidentali che pubblicano e trasmettono in inglese.
Crediti: Matthieu Aikins
Ovviamente ci sono delle eccezioni - mi vengono in mente gli individui associati a Hasht-e Sobh o alcune delle persone di spicco di Tolo News - ma nella maggior parte dei casi, se sei un giornalista afghano talentuoso e ambizioso - e conosci l'inglese - finirai assunto (per un salario molto più alto) da un'organizzazione internazionale.
Il giornalismo - come molti altre industrie afghane in fase di sviluppo - è orientato verso l'alto, verso un economia basata sul mecenatismo, più che orientata verso l'esterno, cioè verso la comunità locale. Persino i giornali in Dari e Pashto - come Hasht-e Sobh o Weesa - chiedono $50 o $100 per un abbonamento annuale, una cifra che la maggior parte degli afghani non può permettersi. La loro clientela è basata infatti sulle NGO, organizzazioni estere e internazionali.
Crediti: Matthieu Aikins
Comparate poi tutto questo ad un paese come il Pakistan, dove si trovano dozzine di giornali e canali televisivi in inglese, urdu e molte altre lingue - che si mantengono grazie ad abbonamenti a prezzi accessibili e alla pubblicità. Il giornalismo in Pakistan ha i suoi problemi, certo, ma credo che i media del paese giochino un ruolo importante nel sostenere un processo democratico in fase di sviluppo, oltre ad avere dato vita a una generazione di giornalisti competenti ed esperti, impegnati a servire la loro stessa comunità.
Penso che buona parte delle menti più brillanti dell'Afghanistan si impegni a servire il pubblico internazionale più che la loro stessa nazione. Pensate per esempio a un giornalista talentuoso come Najibullah Quraishi, di cui rispetto moltissimo i lavori. Ma quanti afghani hanno visto i suoi documentari per Frontline? Ora, non voglio di certo dire che gli afghani dovrebbero lavorare solo per gli afghani o che ogni individuo non debba seguire le proprie aspirazioni, lavorando in campo internazionale. Ma quando si guarda al fenomeno nel suo insieme, si può notare come l'economia che è stata introdotta in Aghanistan dal 2001 abbia ritardato lo sviluppo delle istituzioni locali. La mia preoccupazione è che, quando l'interesse internazionale per l'Afghanistan scemerà, i media afghani non saranno in grado di sostenere da soli le pressioni economiche e politiche a cui dovranno far fronte.
FA: I media stanno attraverso un periodo di drastici cambiamenti a causa dell'opportunità offerta ai giornalisti indipendenti di scrivere blog e caricarli online. Cosa ne pensi del fenomeno? Potrebbe cambiare il volto del giornalismo, in Afghanistan?
MA: Penso che la rivoluzione digitale sia in grado di offrire incredibili possibilità democratiche al mondo del giornalismo. Dai modelli economici che fanno meno affidamento ai controlli aziendali, alla possibilità di evitare la censura, passando poi per la possibilità di poter sentire così più voci diverse, credo che Internet sia in grado di cambiare in meglio il giornalismo, persino in un presente in cui l'industria ha subito un drastico calo di guadagni. Detto ciò, ci sono da considerare anche dei potenziali aspetti problematici. Quando visito le pagine Facebook dei miei amici, trovo spesso degli strani post "virali" che fondono realtà e immaginazione, allegando foto provocatorie e spesso fuorivianti. Conosco tante persone che tendono a informarsi sui social media e, in un paese in cui manca una forte tradizione giornalistica (e delle istituzioni dedicate), ciò potrebbe rendere le persone incapaci di distinguere le vere notizie dalle bufale.
Detto ciò, è importante ricordare che la maggior parte degli afghani non ha accesso ad Internet e nemmeno un livello di istruzione che permetta loro di trarne vantaggio. Quindi, penso sia presto per prendere in considerazione gli effetti che Internet sta avendo sul giornalismo in Afghanistan.
FA: Che consigli daresti ai giovani afghani che vogliono intraprendere la carriera giornalistica?
MA: Darei loro lo stesso consiglio che do a tutti i giovani. Per prima cosa imparate le basi, a scuola se possibile, ma anche come autodidatti. Leggete quanto più possibile e analizzate qualsiasi cosa vi risulti interessante o vi susciti ammirazione. Cercate di capire come e perché lo scrittore ha scritto un articolo - "smontatelo", per essere chiari. Dovreste leggere almeno venti volte in più rispetto a quello che scrivete. Una volta che avrete iniziando ad acculturarvi, cercate di contattare i giornalisti esperti che ammirate, chiedete loro di prendere un caffè assieme - o scrivete loro una e-mail - non mordiamo mica. Ricordate, però, che spesso abbiamo un'agenda molto fitta, quindi cercate di sapere prima se stanno lavorando a qualche progetto e fate domande specifiche, non generali.
Crediti: Matthieu Aikins
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