In un recente articolo Op-Ed pubblicato sulla rivista Business of Fashion, intitolato "In Asia, New Fashion Talent Rises", a opera di Joseph Quartana - Fashion e Creative Director per Inverted Edge - non ho potuto fare a meno di notare un commento lasciato su Facebook, sotto al post che pubblicizzava l'articolo.
Il commento recitava, "Vuole forse dire che i paesi dell'Asia del Pacifico porranno fine allo sfruttamento di lavoratori sottopagati per la produzione di quei vestiti che tutti comprano? Hanno davvero una sorta di etica in quelle zone? O è tutto incentrato sul consumismo dei ricchi.."
È molto triste notare che per le persone esterne al continente asiatico, i paesi di quelle zone sono ancora visti come a) una grossa opportunità per il consumo, dai beni di lusso a qualsiasi altra cosa di produzione/origine americana: e non voglio negarlo, quando sono stata in Cina durante le vacanze, Ambercrombie e Hollister erano marchi molto popolari tra i giovani del luogo. A Singapore, invece, la cosa sembra ormai diversa. b) oppure, come il commento precedente recitava, un luogo dove il lavoro sottopagato è la regola e non l'eccezione.
Sono davvero infastidita da questo commento e se non posso che ammettere la presenza in queste zone di lavoratori sottopagati, la causa dei salari così bassi è da ricercare nelle meccaniche economiche, dai fattori che determinano la domanda e l'offerta, alla presenza di grosse multinazionali che devastano il mercato del lavoro. Come Debra Langley, CEO di Inverted Edge ha sottolineato, "Nessuno può negare che alcune pratiche di produzione non siano affatto ottimali, ma è ironico che molte delle compagnie che si appoggiano a queste fabbriche e che non insistono nell'affermare lo sviluppo di un modello lavorativo più giusto, non provengano dall'Asia." E c'è da dire che certe compagnie non producono capi di abbigliamento solo in Asia, ma anche in Sud America, Africa e persino New York.
Come amante dell'industria della moda, ma anche sostenitrice di un modello di sviluppo che si basi sul lavoro etico, sono però consapevole dei problemi di questo settore. In ogni caso, non credo che il fenomeno dello sfruttamento debba essere collegato soltanto a determinate regioni, raffigurando noi asiatici come tiranni che avrebbero la possibilità di cambiare le cose, ma si rifiutano di farlo.
Per concludere, penso serva l'impegno sia dei consumatori che dei produttori per porre fine al fenomeno dei lavorato sottopagato - quando un consumatore viene messo a conoscenza del motivo per cui una T-Shirt o un paio di pantaloni costino così poco, probabilmente sarà più incline a pagarne un prezzo più alto (e giusto). Ciò costringerebbe i rivenditori a porre fine a certi prezzi che costringono al lavoro sottopagato, soprattutto quelli che ne hanno il potere.
Voglio infine sperare che i grandi marchi in quella regione riconoscano prima o poi l'importanza di un sistema lavorativo giusto, specialmente considerando che in molti devono parte del loro successo a quelle zone e appartengono ad una generazione che è a conoscenza del bisogno di sostenibilità. Voglio sperare che si ponga fine allo sfruttamento delle risorse dei paesi che li ospitano, sia in termini ambientali che umani.